giovedì 18 marzo 2021

DAL CIBO DELL’HOMO HABILIS ALLA CUCINA DEI NOSTRI GIORNI

 


Cari lettori,
che piacere ritrovarvi, vi ripropongo una mia conferenza che ho tenuto per l'Accademia Italiana della Cucina a Monterotondo oltre 15 anni fa, che spero possa risultare di vostro gradimento. 

L’homo habilis, cacciatore e raccoglitore, vissuto due milioni di anni fa al centro del continente Africano, nella savana, capace di fabbricare attrezzi rudimentali per la caccia, si cibava di frutti, di semi, di germogli, d’insetti, di uova, di piccoli animali da lui abbattuti, ma principalmente di carcasse di grossi animali già uccisi da altri più abili predatori. Mangiava strappando a morsi la carne cruda e per tale motivo aveva bisogno di un apparato masticatorio molto efficiente, con strutture cranio-facciali molto robuste, per cui le ossa della testa lasciavano poco spazio allo sviluppo del cervello, che aveva un volume di soli 700 cmc, in realtà quasi la metà della nostra attuale dimensione.

L’homo habilis si estinse dopo circa 500.000 anni, lasciando il posto all’homo erectus, di statura più alta e capacità cranica maggiore. A differenza degli altri primati, al pari dell’homo habilis aveva i pollici in opposizione rispetto alle altre quattro dita delle mani e non aveva coda.

Costui, abbandonando nel corso dei millenni gli alberi, sui quali erano vissuti i suoi progenitori, iniziò a camminare sui soli arti posteriori, potendo così sostenere con le mani gli attrezzi per la caccia, il cibo, la prole. Inoltre stando eretto poteva più agevolmente controllare che nella erba alta della savana non si celasse alcuna pericolosa belva che altrimenti avrebbe potuto aggredirlo di sorpresa.   (Da notare che ancora oggi alcuni animali che vivono allo stato selvatico, come i Lemuri o le Lepri nel Nord della Gran Bretagna sono soliti stare a turno di vedetta nei campi, eretti sulle zampe posteriori, pronte a segnalare con sonori colpi di zampa sul terreno l’approssimarsi di un pericoloso rapace dal cielo, o di un’affamata volpe che silenziosamente si sta avvicinando tra i cespugli.)

Un giorno, nel continuo vagare alla ricerca del cibo, un gruppo di ominidi si imbatté nella carogna di un animale morto in un incendio, di certo provocato da un fulmine; se ne cibarono e si accorsero che la carne era più tenera da masticare. E così, mentre la un lato iniziò la lunga storia della cottura dei cibi, dall’altro, nel corso dei millenni, seguì la lenta evoluzione del cervello, riducendosi parimenti nel tempo le dimensioni dell’apparato masticatorio.

La scoperta del fuoco, le cui braci vennero tenute accuratamente sempre accese e protette dalle intemperie, rese possibile un altro grande progresso all’homo erectus. Li protesse dal freddo, consentendo loro di potersi spostare in zone non tropicali, facendoli giungere fino agli altri continenti e poi li difese dagli attacchi notturni delle belve, quando fu loro evidente che con la brace ardente e con le fiamme era possibile tenere a bada le bestie feroci.

Secondo un noto biologo contemporaneo, gli uomini anatomicamente moderni si diffusero su tutto il nostro pianeta raggiungendo la Nuova Guinea e l’Australia 60.000 anni fa, l’Europa intorno ai 40.000, le Americhe forse già 30.000 anni fa. Secondo alcune teorie peraltro ancora dibattute, in questa espansione gli uomini cacciatori-raccoglitori sterminarono tutte le grandi specie di mammiferi della preistoria, come il mammuth in Eurasia e nelle Americhe, i marsupiali giganti ed enormi uccelli senza ali simili agli struzzi in Nuova Guinea e in Australia (terre un tempo unite); il moa in Nuova Zelanda (uccello di mt 1 a 3 senz’ali) e ancora in Sud America elefanti, cavalli, cammelli, bradipi giganti e nelle Hawaii le oche giganti non volatrici, il dodo di Mauritius.  Queste estinzioni in massa produssero un risultato irrevocabile: da interi continenti scomparvero tutte o quasi tutte le specie di mammiferi che si sarebbero potuti addomesticare e allevare in epoca successiva. (Alcune teorie affermano che la megafauna si estinse in seguito ad un repentino cambiamento climatico, ad es. una grande siccità) ( Da notare che in alcune tribù della Nuova Guinea, fino a pochi decenni fa, la assoluta carenza di proteine nobili contenute nella carne degli animali che scarseggiavano, spinse costoro fin dai tempi antichi, alla pratica del cannibalismo.)

A partire da oltre 10.000 anni fa l’agricoltura e l’allevamento degli animali si svilupparono indipendentemente in diverse parti del mondo: 10.500 anni fa in MedioOriente, 9.500 in Cina, 5.500 in CentroAmerica e nelle Ande; 4.500 nelle regioni Atlantiche degli attuali Stati Uniti d’America; 9.500 in Nuova Guinea; nelle terre a Sud del Sahara 7.000; in Africa Occidentale 5.000. Nella Mezzaluna Fertile l’agricoltura si diffuse rapidamente, subito dopo la sua nascita attorno all’8.000 a.C. L’onda espansiva raggiunse la Grecia, Cipro ed il Subcontinente Indiano prima del 6.500 a.C.; l’Egitto subito dopo il 6.000 a.C., l’Europa centrale prima del 5.400 a.C.; la Spagna meridionale prima del 5.200 a.C. e la GranBretagna intorno al 3.500 a.C..

Con le piante arrivarono anche altre novità: la ruota, la scrittura, la metallurgia, il consumo e la lavorazione del latte, la birra ed il vino.

Ma questo è tutto un altro discorso che affronteremo un’altra volta !

Per i popoli nomadi la produzione di cibo rappresentava una valida alternativa alla caccia e alla raccolta di semi e di piante selvatiche; era utile per migliorare la dieta, e in breve tempo si rivelò più vantaggiosa. Con il tempo i novelli agricoltori compresero che le piante coltivate procuravano anche tessuti, coperte, funi e reti, mentre gli animali addomesticati fornivano carne, latte, uova, fertilizzante per i campi. E poi erano una fonte di energia fondamentale, alternativa all’uomo, perché tiravano gli aratri, sospingevano le macine dei mulini per i cereali e azionavano il bindolo per tirare su l’acqua dei pozzi. E cosa non trascurabile, si accorsero che alcuni animali potevano fornire caldi tessuti, per proteggersi dal freddo, come la lana.

 

Soltanto le tribù di pellerossa della California, che vivevano in una delle zone più fertili del mondo, furono i più restii a sviluppare l’agricoltura, forse perché la troppa abbondanza di pesce e la grande varietà di piante selvatiche, consentiva loro un valido sostentamento, limitandosi così le loro donne oltre ad una facile cattura dei pesci, a raccogliere frutti, semi e germogli che crescevano spontaneamente in tutto l’anno grazie alla mitezza del clima.

Fatta dunque questa lunga premessa, avviciniamoci di più ai nostri giorni e vediamo cosa accadde in seguito.

Inizialmente i cibi furono direttamente esposti alla brace e poi in tempi successivi furono adottate le tecniche di cottura che richiesero l’impiego di un certo numero di utensili, stimolando la gente ad aguzzare l’ingegno.

La tecnica dell’argilla cotta e della fusione dei metalli era ancora lontana e soltanto in piena età del bronzo, nel terzo millennio a.C. furono confezionati i primi tegami metallici.

In breve, dalla scoperta e dal relativo impiego del fuoco, e cioè fino a poco più di tre secoli fa, sia per cuocere i cibi che per produrre calore, in ogni grotta o capanna, in ogni casolare grande o piccolo che fosse, da sempre esisteva un luogo ove il fuoco veniva custodito ed utilizzato, ma ciò non consentiva però di regolare la diversa quantità di calore alla quale era necessario esporre i cibi da cuocere. Ciò infatti poteva avvenire soltanto avvicinando o allontanando il relativo recipiente dalla brace o dalle fiamme, ma sempre in maniera approssimata.

Finalmente verso la fine del 1700, nelle case della ricca borghesia, al posto del vecchio focolare fu realizzato un nuovo sistema di cottura ideato in Francia all’inizio del secolo, il quale realizzato in muratura, occupava un’intera parete dell’ambiente adibito a cucina ed era munito di diverse piastre rotonde concentriche, più o meno asportabili, con le quali era così possibile graduare il calore al quale esporre la pietanza da cuocere. Nacquero contemporaneamente le batterie da cucina, che erano composte da pezzi di diverse dimensioni, per adattarsi ai vari fori ed alle diverse quantità di cibo da cuocere.

Comunque è necessario premettere che in Europa come in altri Paesi, nella maggioranza delle famiglie, ad esclusione di quanto avveniva nelle case della nobiltà e dei ricchi proprietari terrieri, per giorni e anche per settimane il cibo era monotematico; serviva principalmente a riempire lo stomaco e a riscaldare chi andava di prima mattina a lavorare nei gelidi campi, e per rifocillare chi vi faceva ritorno la sera, essendosi potuti cibare, al tocco della campana di mezzogiorno, soltanto di un duro pezzo di pane schietto, tutt’al più ammorbidito nell’acqua del ruscello ! 

Secondo uno scritto del Cavalcanti, nelle nostre regioni il “Potager”così chiamato, si era diffuso soltanto verso la metà del 1800. Poteva essere alimentato sia a carbone vegetale che a legna, ma già soltanto, all’inizio del 1900 i problemi di spazio cominciarono a farsi sentire nelle grandi città ed anche questa volta la Francia con le sue originali innovazioni invase il nostro mercato. Nate dall’esperienza fatta dal grande Napoleone nelle sue frequenti campagne di guerra e realizzate in ghisa con un ridotto ingombro, erano state costruite ed adattate agli usi domestici delle apparecchiature chiamate “cucine economiche”. Al pari del potager erano alimentate a carbone o a legna, intiepidivano l’ambiente in cui erano installate e con una piccola fornace centrale permettevano la cottura su diversi fornelli, alimentavano un forno e riscaldavano l’acqua.

Ritengo che ancora oggi sia possibile scovare simili attrezzature in qualche negozio di antiquariato.

Ma diamo ora un rapido sguardo alla gastronomia di allora.

Fino ai primi decenni del 1900, tra i vari territori della nostra regione esistevano delle profonde diversità nelle tradizioni della gastronomia, in specie tra i paesi dell’entroterra e quelli bagnati dal mare. Ancorpiù il divario si accentuava nelle località di montagna, dove meno frequenti erano le occasioni di visita da parte di pellegrini che si recavano in luoghi impervi per sciogliere un voto fatto, o ad opera di venditori ambulanti che vi si avventuravano rischiando di essere rapinati dai briganti che infestavano i passi di montagna più solitari.

In ogni caso l’analfabetismo era molto diffuso quindi la descrizione di una pietanza che aveva colpito la fantasia del potenziale gastronomo poteva avvenire - quasi sempre - per via orale.

I mezzi di informazione erano pressoché inesistenti, i giornali ed i rotocalco alla portata di tutti  avrebbero fatto la loro comparsa con diffusione nazionale soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’uso del telefono era un gran lusso, la Radio era agli albori e le automobili che avrebbero poi consentito alle masse di spostarsi agevolmente da un lato all’altro della regione, erano retaggio di pochi privilegiati. E poi la esigua rete autostradale rendeva difficilmente accessibili quelle località caratteristiche, divenute famose soltanto in seguito, per le loro specialità gastronomiche.

Nelle famiglie che vivevano in alcune zone montuose dell’interno si confezionavano delle stupende paste fresche: orecchiette, fusilli, cannelloni, gnocchi, ravioli, lasagne, che unite ai legumi del posto o condite con sughi di carni di capretto, di agnello, di cacciagione, erano degustate nelle ricorrenze festive ed in occasione di matrimoni. I maccheroni, ormai prodotti industrialmente, erano consumati nei pasti di tutti i giorni, mentre le pietanze a base di pesce erano rare, fatta eccezione per quelle a base di baccalà sotto sale, che poteva essere trasportato in luoghi lontani.

Invece nelle zone bagnate dal mare o immediatamente adiacenti abbondavano i piatti a base di pesce, mentre risultavano molto rare le pietanze a base di carne bovina. In comune tra le diverse zone vi erano formaggi ovini e caprini, il raro pollame ed i conigli.

Però è da notare che comunque i tipi di cottura, gli aromi ed i condimenti impiegati rendevano sostanzialmente differente i risultati finali delle pietanze realizzate in un luogo o in un altro.

In pianura abbondavano gli ortaggi per buona parte dell’anno, ma per le note difficoltà di trasporto e di conservazione, in inverno erano difficilmente reperibili nelle zone dell’interno montuoso, caratterizzate da un clima più freddo che consentiva alcune coltivazioni soltanto nei mesi più caldi..

Ho potuto avere conferma di queste mie affermazioni, analizzando accuratamente un interessante manuale, scovato di recente nella mia biblioteca, dal titolo “Guida all’Italia piacevole”, edito da Garzanti nel marzo del 1969, cioè 35 anni or sono, scritto a seguito di un ciclopico lavoro di indagine esteso a tutto il territorio italiano, ad opera del famoso giornalista gastronomo Luigi Veronelli, di recente scomparso. Infatti lo scrittore fermava la sua attenzione paesino per paesino, sulle pietanze realizzate nelle osterie, nelle trattorie, nei ristoranti, non tralasciando di esaminare anche le più modeste località, illustrando in maniera sintetica le ricette ed i piatti più caratteristici.

E subito risultavano evidenti le notevoli differenze che vi erano tra le pietanze offerte da una zona all’altra, da un paese all’altro, sia pure fossero situati a pochi chilometri di distanza.

Pochi anni dopo il termine del secondo conflitto mondiale, con il ritorno dell’abbondante disponibilità di cibo e con l’avvento dei moderni mezzi di comunicazione, di trasporto, di conservazione, nelle grandi città e nei centri più popolosi, queste differenze nel realizzare pietanze tipiche seguendo le antiche tradizioni nelle diverse regioni, cominciarono ad affievolirsi. Molti gusti si appiattirono, iniziarono a scomparire le buone cucine e le ricette di un tempo, forse ad opera di maligne influenze e di discutibili correnti di pensiero, provenienti d’oltr’Alpe e d’oltre Atlantico.

Di ciò si accorse il famoso giornalista-scrittore Orio Vergani, il quale al grido “la cucina italiana sta morendo”, insieme ad un ristretto numero di amici decise nel 1953 di fondare l’Accademia Italiana della Cucina per salvare dall’oblio in cui stavano precipitando le nostre gloriose tradizioni gastronomiche.

Oggi, a poco più di cinquant’anni da allora, grazie a questa felice intuizione, la nostra associazione è presente in tutta l’Italia e nelle principali città del globo, con un elevato numero di delegazioni e di accademici che con la loro fattiva opera e con notevoli sacrifici stanno riportando in vita tutte le antiche tradizioni cucinarie che avevano rischiato di scomparire.

In riconoscimento di questo particolare servigio reso al nostro Paese, la nostra Accademia, in occasione del suo cinquantenario, con decreto del 18 agosto 2003 , è divenuta “Istituzione Culturale della Repubblica Italiana” .

E noi siamo ben fieri di farne parte !

 

                                                                                     

sabato 17 novembre 2018

I MEZZI PACCHERI DI SERGIO DA POSILLIPO

I mezzi paccheri alla Sergio da Posillipo
Questa è una mia ricetta originale, potremo dire una mia invenzione (casomai in cucina fosse ancora possibile inventare qualcosa), ispirata ai sapori della Sicilia da cui la mia famiglia proviene.
E' per questo che, peccando di immodestia, ho voluto battezzare questi Mezzi paccheri con peperoni, melanzane e salsa di pomodori come I mezzi paccheri di Sergio da Posillipo (il quartiere di Napoli che si affaccia su quel golfo che ha ispirato i più bei versi della canzone classica napoletana e di certo tante ricette!).

Servo la mia ricetta a mia nipote Valentina
In accordo con le regole della gastronomia e del buon senso, la ricetta dovrebbe essere realizzata soltanto nei mesi in cui sia i peperoni che le melanzane giungono a maturazione negli orti, ma ai nostri tempi, grazie (o dovremmo dire a causa di) al mercato globale e alle moderne tecniche di coltivazione e lavorazione dei prodotti agricoli, queste verdure si trovano in vendita tutto l'anno. E' ovvio che in tali casi i sapori non sono proprio gli stessi, ma purtroppo ci stiamo abituando anche a questi piccoli inconvenienti, ed è un male!

Da parte mia vi preciso che ho realizzato questa mia ricetta  più volte nel corso dei mesi, sempre con un notevole successo, anche perché raccomando di scolare la pasta a 3/4 del tempo stabilito e poi terminare la cottura passando la pietanza al forno per la finitura con il condimento per 20 minuti a 160°, poco prima di portarla in tavola. 
Quindi è un piatto da preparare prima con comodo, e poi al momento opportuno rifinire in forno e servire ai convitati. (Questo formato di pasta di notevole spessore, mantiene molto bene la consistenza sotto i denti!)

Dose per 6 persone:  mezzi paccheri rigati (andrebbero bene anche le mezze maniche rigate) gr 350; melanzane gr 400; peperoni gr 400; pomodoro pelato gr 400; aglio 2 spicchi; olio di semi di arachide per friggere q.b.; olio EVO 6 cucchiai per la salsa + 4 cucchiai per la finitura; parmigiano o grana grattugiato gr 150; sale.

Mescolando e riempiendo le teglie
Procedimento : lavare i peperoni e le melanzane ed asciugare entrambi. Eliminare il picciuolo alle melanzane ed affettarle a rondelle sottili (mm.2); metterle in padella con olio di semi e friggerle rimestandole, quindi tirarle su con una schiumarola quando si sono appena imbiondite e metterle in una fondina a sgocciolare.  Eliminare picciuolo e semi dai peperoni e tagliarli a striscioline (cm.1 x 6 circa) e - nella stessa padella -  friggerle quando le vedrete raggrinsarsi un poco (vuol dire che iniziano a perdere acqua), tirarle su con la schiumarola e farle sgocciolare.
(Per ridurre l'olio trattenuto dalla frittura e quindi renderlo più consono ai gusti di qualcuno particolarmente attento alla propria linea, potete far asciugare le verdure su carta paglia, man mano che vengono fuori dalla frittura.)

Preparare in una pentolina la salsa di pomodoro mettendo pochissimo olio EVO (giusto per soffriggere l'aglio), l'aglio sbucciato, un buon pizzico di sale e il contenuto del barattolo di pelati. Fare cuocere per 10 minuti schiacciando con i rebbi di una forchetta i pelati, quindi eliminare l'aglio e trasferire la salsa in una grande ciotola, capace poi di condire tutta la pasta.

Mettere sul fuoco la pentola con l'acqua ed un cucchiaino di sale grosso. Quando bolle mettervi dentro la pasta, cuocendola a 3/4 del tempo segnato sulla confezione, scolarla e metterla nella ciotola con la salsa e rimestare. Unirvi le melanzane ed i peperoni già fritti e rimestare il tutto insieme. Spargervi sopra la metà del formaggio grattugiato e rimestare ancora.

La pirofila già assaltata!
Disporre tutto il preparato in una pirofila che poi porterete in tavola, pareggiarlo, spargervi sopra il resto del formaggio e poi un sottile filo d'olio (4 cucchiai di olio EVO) su tutta la pietanza. Mettere la pirofila in frigo fino a 30 minuti prima di andare a tavola.

Quando sarete pronti, come detto, accendere il forno - termostato a 160°-  e mettere a rifinire la
pietanza per 20 minuti, quindi portare in tavola e servire.

=*=*=*=

N.B. 1) Sale: ho salato soltanto la pasta e la salsa, perché il formaggio contiene già abbastanza sale. Quindi dopo aver condito il tutto, saggiate un pezzo di pasta con un po' di melanzana e peperone ed eventualmente aggiungete un poco  di sale, se necessario!

N.B. 2) Olio: ricordatevi che il cibo non va sprecato ed è quindi opportuno friggere con poco olio alla volta: le verdure lo assorbiranno poco a poco e alla fine ne rimarrà ben poco nella padella. L'olio di frittura rimasto, non lo aggiungete alla pietanza! Eliminatelo senza buttarlo nello scarico (inquina molto i nostri mari), ma tramite i sistemi di raccolta degli olii esausti, messi a disposizione dal vostro Comune.

 

FARFALLE ALLA CREMA DI SPINACI

Siamo ormai alle porte dell'inverno, le verdure fresche cominciano a scarseggiare ad esclusione di verze, cavoli e broccoli, ed ecco una ricetta  abbastanza semplice da realizzare in ogni tempo, perché gli spinaci sono reperibili sui banchi della verdura in buona parte dell'anno, ed in casi estremi possono utilizzarsi quelli surgelati.

Dosi per 4 persone: spinaci gr 500; olio EVO 4 cucchiai; farfalle gr 350; latte fresco intero cc 300; burro gr 50; farina gr 50; fontina gr 50; parmigiano o grana grattugiato gr 100; sale .

Procedimento:  Lavare gli spinaci, asciugarli e metterli in padella (in alcuni supermercati sono in confezione già pronti per essere cucinati) con l'olio ed un pizzico di sale fino. Fare saltare a fuoco medio gli spinaci,  rigirandoli fino a vcderli ridotti di volume, quindi metterli nel bicchiere del frullatore e azionare le lame per un mezzo minuto. Rimetterli in padella fuori dal fuoco e tenerli da parte.
Intanto mettere a bollire l'acqua con un cucchiaino di sale grosso per le farfalle.

In una pentolina mettere il burro, la farina, e su fuoco dolce farla tostare rimestando di continuo. Aggiungere un poco di latte, farlo assorbire sempre rimestando per evitare che si formino dei grumi , quindi continuare fino a consumare tutto il latte ottenendo una crema abbastanza liquida. Togliere dal fuoco, aggiungere ora la fontina a pezzetti e rimestare ancora per un minuto per farla incorporare, quindi trasferire la crema  nella padella con gli spinaci ed unire il tutto insieme.

Quando sarete vicini al momento di andare a tavola, mettere le farfalle nell'acqua bollente già salata,
scolarle al dente e trasferirle in padella, rimestandole a fuoco forte per un paio di minuti per farle ben mescolare al condimento, quindi o impiattare direttamente, o trasferire la pietanza fumante nella zuppiera di servizio portandola in tavola velocemente.  Mettere  in tavola la formaggiera con il formaggio grattugiato. 

                                                                      =*=*=*=

P.S. Una piccola variante in corso d'opera.  Volendo conferire maggiore carico di calorie (e di sapore) alla pietanza, potreste aggiungere uno o due uova fresche sbattute, nel momento in cui state rimestando in padella a fuoco forte la farfalle con la crema di spinaci, quindi mescolare velocemente.

lunedì 16 aprile 2018

BOCCONCINI DI MANZO A SPEZZATINO MARINATO NEL VINO ROSSO CON CONTORNO DI PATATE A TOCCHETTI IN UMIDO

DOSI  per 6 persone :  carne di manzo a tocchi  gr  700;  concentrato di pomodoro 2 cucchiai (che NON sia cinese); olio EVO 5 cucchiai; cipolla gr 50; aglio 2 spicchi; foglie di alloro 3; vino rosso cc 500; rosmarino 2 rametti;  farina 4 cucchiai; patate gr 750; olio di arachide 6 cucchiai; sale fino.

PROCEDIMENTO  :  tagliare la carne a minuti bocconcini, salarla appena e metterla a marinare in una ciotola con tutto il vino rosso, insieme alle foglie di alloro ed i rametti di rosmarino, per almeno 4/6 ore.

Trascorso il tempo, farla sgocciolare, passare i singoli tocchetti in una terrina nella quale avrete messo la farina ed infarinare ogni pezzo. In una casseruola mettere l'olio, e cuocere la carne rigirandola delicatamente  con un mestolo di legno.  Quando sarà ben rosolata, toglierla dalla casseruola con una schiumarola e metterla da parte. Nelle stessa casseruola mettere la cipolla e l'aglio tagliati sottilmente, aggiungere il concentrato di pomodoro e cc 100 della marinata, quindi rimettervi dentro la carne e fare cuocere a fuoco dolce per circa due ore, aggiungendo un poco per volte tutta la la marinata, quindi spegnere e tenere da parte.

Lavare le patate, sbucciarle e tagliarle a dadini piccoli. In una padella mettere l'olio di arachidi, le patate, spargervi su un poco di sale fino, fare cuocere a fuoco basso con il coperchio, dopo 10 minuti aggiungere cc 150 di acqua e continuare la cottura con il coperchio sempre a fuoco basso, fino a che l' acqua non si sia consumata completamente.

Tenere in caldo fino al momento di servirle a tavola insieme allo spezzatino riscaldato nella sua casseruola.  Trasferire al momento opportuno lo spezzatino nel piatto di servizio, distribuendo intorno le patate in umido e portare subito in tavola..

mercoledì 28 marzo 2018

UNA RICCA LASAGNA PASTICCIATA . VALE COME PRIMO E SECONDO PIATTO

Una buona lasagna risolve spesso il problema, se si è in parecchi. E poi si può preparare anche un paio di giorni prima della conviviale, ben coperta con la pellicola in frigo e poi poco prima dell'ora stabilita passarla in forno per 20/25 minuti a 160°.

DOSI   per 6/8 persone:  lasagna  bianca  gr 500; per condirla: pomodoro pelato 1 scatola gr 400; olio EVO 8 cucchiai; carne di manzo tritata gr 250; carne di maiale tritata gr 150; salsicce fresche gr 150; cipolla 1; carota 1; sedano 2 coste; salsa besciamella preparata con latte fresco intero cc 1000; burro gr 75; farina gr 75; sale 1 pizzico; mortadella di ottima qualità gr 150 a fette sottili; grana grattugiato gr 250.

PROCEDIMENTO :  anche se la lasagna è "precotta" è consigliabile dargli prima due o tre minuti di cottura in acqua salata. Rimanendo umida meglio si adatterà alla farcitura che andrete a distribuire tra un foglio e l'altro, quindi in un'ampia pentola con acqua ed un pò di sale che bolle, passarvi dentro per un paio di minuti i fogli, poi tirarli su e adagiarli su di un canovaccio pulito.

Preparare il condimento mettendo in una pentola l'olio, il trito di cipolla, carota e gambi di sedano, aggiungere un cucchiaino di sale, poi le carni tritate, le salsicce fresche (dopo aver eliminato la pelle), il contenuto del barattolo di pomodoro pelato (ricordate che non uso la "passata" a meno che non sia fatta da voi, perché la "cinese" è sempre in agguato. Tonnellate e tonnellate che ogni giorno sbarcano nei containers nel porto di Salerno e di Napoli in qualche posto andranno pure a finire la loro corsa!!).  Cuocere e fuoco dolce il condimento per 15 minuti rimestando un paio di volte.

Dedichiamoci ora alla besciamella che dovrà essere abbastanza liquida. Ricordiamoci che la lasagna deve ancora terminare la sua cottura in forno, quindi un poco di liquido è necessario.

In un tegame mettere la farina, il burro ed il sale, rimestare a fuoco dolce, quando la farina inizia appena a dorarsi, cominciare ad aggiungere il latte, un poco per volta, rimestando sempre, poi continuare così fino a terminare tutto il latte e ottenendo una besciamella abbastanza liquida.

Andiamo ora all'assemblaggio: oliare appena la pirofila, sul fondo va un primo strato di lasagna ( senza sovrapporla), poi qualche cucchiaio di condimento di pomodoro e carne, una fettina di mortadella stesa, un cucchiaio abbondante di grana, un mestolino di besciamella e sopra altro strato di lasagna. E così via, fino a terminare tutto il condimento di pomodoro e carne, mortadella, grana, besciamella,  avendo però l'accortezza di conservarvi per la chiusura un bel pò di besciamella che andrete a stendere sopra per coprirla.

O la conservate in frigo con la pellicola ben chiusa,  o la lasciate in cucina, e poi la infornate la sera stessa a 160° per 25/30 minuti, portandola  ben calda in tavola.



martedì 27 marzo 2018

IL CASATIELLO RUSTICO DA MANGIARE AL LUNEDì' DI PASQUA.

Pochi minuti  fa mio figlio Andrea, che vive con la famiglia a Milano, mi aveva chiesto la ricetta per preparare il casatiello rustico che si mangia solitamente il lunedì di Pasqua ai primi raggi di sole della primavera.

E così grazie al mio "motore di ricerca" che si trova in alto a destra della prima pagina del mio blog, ho riscoperto che il 17 marzo  2008, dieci anni fa, mettevo su questo blog la ricetta del casatiello rustico (con dentro le uova sode) e poi altre pietanze classiche per Pasqua.

Vi consiglio di andare a darci una sbirciata, per poter fare così una bella figura con gli amici, quando tutti, al pic-nic tireranno fuori le varie pietanze preparate.

Un'altra cosa importante sarebbe portare una stupenda frittata rossa di maccheroni (rossa per la salsa di pomodori) : Cercatela e potrete prepararla anche un paio di giorni prima; basterà tenerla in frigo, perché al Nord le case sono molto riscaldate. 

P.S.  IMPORTANTE  : la frittata di maccheroni si trova sul mio blog il 14 marzo 2008. Andate a cercarla !!! 

CANNELLONI RIPIENI DI RAGOUT ALLA BESCIAMELLA GRATINATI AL FORNO

DOSI per 6 persone : cannelloni 20; pomodoro pelato 1 barattolo gr 400; olio EVO 6 cucchiai;  carota 1; cipolla 1; sedano 1 costa;  vino bianco secco cc 100; carne di manzo macinata gr 250; salsiccia fresca di maiale gr 150;  mortadella gr 150; farina 1 cucchiaio raso; pisellini Primavera surgelati gr 400.
Per la besciamella: latte fresco intero cc 750; farina gr 100; burro gr 100; sale 1 pizzico; formaggio parmigiano o grana gr 200. 

PROCEDIMENTO  :  in una pentola di acqua salata calda, fare cuocere per SOLI due minuti i cannelloni, quindi tirarli su con una schiumarola, senza romperli, e depositarli su di un canovaccio ad asciugarsi.

In una pentola mettere l'olio, poi il trito di carota, cipolla, sedano, fare cuocere per tre minuti, quindi aggiungere la carne macinata, la salsiccia senza la pelle, schiacciare con una forchetta mescolando le carni, quindi bagnare con il vino bianco nel quale avrete disciolto il cucchiaio di farina ed il contenuto del barattolo di pomodori. Dopo tre minuti aggiungere i pisellini ancora surgelati, la mortadella a sottili pezzettini e rimestando bene fare cuocere a fuoco dolce per 20 minuti. Togliere dal fuoco.

Preparare ora la besciamella mettendo in una pentolina il burro, la farina, il sale ed a fuoco dolce rimestare. Dopo due minuti aggiungere un poco di latte, sempre continuando a rimestare, poi altro latte, e così continuare fino a quando il latte non è stato tutto assorbito.  Togliere dal fuoco e  continuare a mescolare per un minuto, perché il fondo caldo della pentola continua a cuocere.

Oliare una pirofila nella quale dovranno entrare 20 cannelloni. Con un cucchiaino riempire un poco per volta i cannelloni  e adagiarli uno a fianco dell'altro nella pirofila.
Quando avrete terminato distribuire sopra qualche cucchiaio residuo di ragout, poi stendere sopra la besciamella con una spatolina, spargervi sopra ancora il formaggio grattugiato.

Poco prima di andare a tavola mettere la pirofila in forno già caldo a 180°, fare cuocere per 15/20 minuti, quindi portare in tavola  e servire subito.
                                                     
                                                         =*=*=*=

P.S.  Una eventuale modifica che arricchisce ulteriormente la pietanza: fiordilatte o provola affumicata gr 250   tagliata a sottili bastoncini, da infilare nei cannelloni al momento del riempimento
insieme al ragout con pisellini.