Qualche anno fa, forse una dozzina di anni fa, avevo scritto questo pezzo che era stato pubblicato sulla nostra rivista mensile dell'Accademia Italiana della Cucina "Civiltà della tavola" e poi mi era passato di mente. Ieri l'altro nel cercare nelle memorie del mio computer delle notizie sulla lasagna, è saltato fuori e quindi mi è sembrata una cosa simpatica fare partecipare anche voi a questo inaspettato
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ritrovamento!
E’
consuetudine a Napoli nei giorni di Carnevale, preparare la lasagna
napolitana, che ovviamente nulla ha in comune con la lasagna bolognese !
Secondo
la tradizione essa è composta da larghi nastri di pasta di semola di grano duro
secca, lessati in abbondante acqua salata, scolati e stesi su di un canovaccio
pulito. Quando tutti gli altri ingredienti sono pronti, il primo strato viene
adagiato nell’apposita teglia appena oliata e condito con abbondante ragù
napolitano dai ruvidi sapori di pomodoro, cipolla, carne di maiale e dal
colore rosso cupo conferitogli dal forte vino rosso e dalla conserva, quindi
ricoperto da copiose cucchiaiate di candida e morbida ricotta fresca, mista a
sottili fettine di salsiccie di maiale soffritte nella sugna, da tocchetti di
scamorza, da piccole polpettine di carne di manzo fritte, alternate a qualche fettina
di uova sode e con appena un po’ di cicoli, quindi cosparso - con l’aiuto delle
dita - di parmigiano e pecorino grattugiato. Sopra si sistema un altro strato
di pasta e così via, fino a finire con le ultime cucchiaiate di ragù. E poi
un’ora prima di andare a tavola la teglia viene messa a stufare in forno caldo,
affinchè i vari componenti lentamente si fondano, ma senza mescolarsi tra loro.
Questa
composizione carnevalesca è da ritenersi nel costume napolitano una
trasposizione gastronomica dell’albero della cuccagna di borboniana
memoria, per l’abbondanza degli ingredienti in essa contenuti.
Siamo
certamente nella seconda metà del 1700, non prima, perché non dimentichiamo che
l’utilizzo del pomodoro in cucina, le cui piante erano giunte a noi nel 1500,
impiegò quasi due secoli per essere considerato un frutto non velenoso.
I maccheroni invece furono
conosciuti a Napoli fin dal lontano Medioevo e di essi - dopo aver soggiornato
nella nostra città - scrive il Boccaccio nella terza novella dell’ottava giornata
del Decamerone, parlando del Paese di Bengodi.
Il Marchese Del Tufo - alla fine del 1500 - nei suoi scritti loda i maccheroni, che forse allora dovevano essere simili alla pasta alla “chitarra abruzzese”.
Il Crisci agli inizi del 1600 raccomanda che si mangi pasta almeno due volte la settimana e si sofferma a descrivere i maccheroni, i tagliarelli, i vermicelli delle Puglie, di Sicilia, di Cagliari. Agli inizi del 1600 infatti - con l’impiego di una trafila rudimentale - si producevano per lo più dei vermicelli di notevole spessore.
Nel corso dello stesso
secolo, altri importanti scrittori in lingua napolitana, dal Giambattista
Basile al Cortese e allo Sgruttendio, si dedicarono a scrivere prose e versi in
lode dei maccheroni, ma dalle loro “ricette” rileviamo purtroppo che erano per
lo più conditi con cannella, zucchero e miele, forse secondo l’uso siciliano
influenzato a sua volta dalla cucina araba.
E
infine una datazione quasi certa sulla nascita della lasagna, potrebbe essere
la seguente: Giacomo Casanova, che per lungo periodo aveva soggiornato a
Napoli, alla fine del 1700 scrivendo in Boemia l’introduzione alle sue
quattromila pagine di “Memorie”, cita con forte rimpianto al primo posto tra le
pietanze che gli sono sempre piaciute, il “Pasticcio di maccheroni fatto
da un buon cuoco napolitano.”
E’
lecito quindi pensare, che il grande Casanova avrebbe forse con piacere
rinunciato ad una notte di favori concessigli da una bella fanciulla, pur di
avere in cambio un piatto delle nostre stupende lasagne e quindi….di ciò
consoliamoci, ritenendoci molto più fortunati di lui !
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